Pasqua i riti della Settimana Santa a Cagliari, le tradizioni
Pasqua i riti della Settimana Santa a Cagliari, le tradizioni
Il significato della Pasqua e le tradizioni antiche.
La parola Pasqua deriva dalla voce ebraica Passak, che vuol dire “passaggio”. Agli ebrei infatti la Pasqua ricordava due passaggi: quello dell’angelo sterminatore lungo le case degli Israeliti segnate con il sangue dell’agnello consumato la sera precedente, e quello compiuto dagli ebrei in fuga attraverso il Mar Rosso miracolosamente apertosi per offrire uno scampo a quel popolo inseguito dal Faraone.
Anche ai cristiani la Pasqua ricorda un passaggio, ossia quello che con la sua resurrezione fece Gesù dalla morte alla vita. Gli studiosi di folclóre e gli etnografi scorgono anch’essi nella passione di Cristo un rito di passaggio, la cui vera origine però è da ricercarsi in un perfetto sincretismo tra la religione cristiana e una matrice pagana legata al ciclo dell’attività contadina.
I sentimenti di devozione – che si esprimono con la tristezza per la crocifissione di Gesù e la letizia per la sua resurrezione – coincidono infatti con il risveglio della natura e con il primo frutto di lavoro dei campi. In precedenza essi venivano esaltati con le feste dell’equinozio primaverile.
Molti studiosi sostengono che le liturgie della Settimana Santa siano state introdotte nell’isola per lo più nel Quattrocento, durante la dominazione aragonese, ed in effetti di spagnolo conservano molte definizioni e diverse caratteristiche di grande suggestione.
Non manca tuttavia chi avanza l’ipotesi che le origini siano invece da attribuire alla chiesa greca relegando in secondo piano l’influenza spagnola, a cui spetterebbe solo il merito di aver dato ai riti della passione maggior vigore, solennità e diffusione.
In essi, comunque, è abbastanza evidente un’influenza sarda. Si prendano ad esempio i gòccius o gosos, laudi sarde la cui origine si perde nel tempo, che si cantano nei diversi dialetti locali sia durante le cerimonie in chiesa sia durante le processioni. Si intonano senza accompagnamento musicale ed hanno come tema principale la sofferenza della Madonna Addolorata.
Pasca Manna, ossia Pasqua grande, così è definita la ricorrenza quasi a sottolineare il suo ruolo di primo piano rispetto anche al Natale, detto Paschixèdda, cioè Pasqua piccola. Non è più in voga l’antica credenza che considera la Pasqua che cade di marzo come un auspicio di morte giocando sulla rima marzutìna / mortarzìna.
Fra le usanze ormai superate rientra anche un curioso calendario grazie al quale tutta la popolazione, quando l’analfabetismo era diffusissimo, era in grado di scandire le settimane che precedevano la Pasqua.
Questo, denominato sa pipìa de Carèsima, ossia la bambina di Quaresima, altro non era se non un disegno su carta raffigurante una bambola con sette gambe e sette piedi, che teneva una graticola nella mano sinistra ed un pesce nella destra.
I due elementi simboleggiavano l’obbligo di mangiar magro, mentre ciascuna gamba corrispondeva ad una delle settimane tra il giorno delle Ceneri e la Pasqua.
Altra consuetudine diffusa fino agli anni Quaranta era quella di is ascùrtus ( gli origliamenti ). Accadeva spesso che persone di ceto modesto si recassero nei pressi della chiesa di San Lorenzo per prestare orecchio alle chiacchiere dei passanti.
In tal modo si riteneva possibile, per virtù dell’illuminante aiuto della Vergine, ricavare dalle frasi raccolte indicazioni o auspìci sulla salute dei propri cari.
Pasqua i riti della Settimana Santa a Cagliari, le tradizioni
Al rango della superstizione è stato ascritto anche su trapàssu che imponeva un digiuno a pane e acqua della durata di quaranta giorni. Se ripetuto per sette anni consecutivi ciò avrebbe assicurato un posto in paradiso, a meno che non ci si fosse già arrivati per direttissima in seguito agli scompensi causati dalla fame e dalla sete.
Sempre in auge è invece la benedizione delle palme, da cui prende il nome l’omonima domenica. Le palme vengono conservate un anno e poi bruciate per evitare profanazioni.
Rappresentano la benedizione che entra in tutte le case ma nel subconscio collettivo è rimasto un fondo di superstizione che vi identifica amuleti contro il malocchio.
Alla stessa stregua erano considerati anche alcuni ciondoli tipo su ziddu e su giuàli, confezionati in alcuni paesi dell’Oristanese con foglie o legno di palma che si dovevano tenere al collo come panacea per tutte le malattie.
Servizio realizzato dalla Dr.ssa Francesca Muntoni in collaborazione con Mario Lastretti e Andrea Loi (Presidente dell’Arciconfraternita del Gonfalone).
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