Massimiliano… regalaci una chicca!
Massimiliano… regalaci una chicca!
intervista a Massimiliano Medda dei Lapola
di Ivan Murgana
Percorrendo a ritroso i momenti salienti della sua carriera per arrivare ai giorni nostri, Massimiliano Medda racconta vent’anni e più trascorsi a portare in giro per la Sardegna personaggi impregnati di quella forte “cagliaritanità” che solamente chi è nato nel quartiere Marina può descrivere. Insieme agli altri componenti dei Lapola è riuscito ogni anno a dare nuova linfa a una comicità che avvicina spettatori di tutte le età, dando vita a tormentoni che hanno conquistato soprattutto il pubblico più giovane.
Timido ma non per questo introverso, innamorato del suo pubblico quanto della sua squadra del cuore, il Cagliari, Massimiliano Medda mette a nudo le paure e le passioni di un cabarettista “made in Cagliari”.
Quando hai pensato per la prima volta di fare il comico?
Ho cominciato a esibirmi per caso nella parrocchia di Sant’Eulalia quando ero ragazzino. Si organizzavano spesso piccoli spettacoli, e io per vincere la timidezza decisi di provare. Dopo l’imbarazzo delle prime apparizioni in pubblico, stare sul palco cominciò a divertirmi: da allora non ho più smesso.
Il primo applauso.
Una sensazione bellissima, ti da una grande carica: è la testimonianza che quello che fai è apprezzato da qualcuno. Credo che il primo applauso per un comico sia come segnare il primo gol per un calciatore.
Hai mai avuto paura di non far ridere durante uno spettacolo?
Quando conosci il mestiere sai che ci sono i giorni in cui strappi meno risate del solito, dipende dal pubblico. Più che altro ho temuto che la gente andasse via dalla piazza, i primi tempi controllavo se tra la folla si fossero formati degli spazi vuoti improvvisi. Vedere il pubblico andare via mentre ti stai esibendo è una cosa terribile.
Un ricordo imbarazzante durante uno spettacolo.
Lo ricordo come se fosse ieri: era una sera d’estate e faceva un gran caldo, avevo un terribile mal di gola e parlavo a fatica. Come se non bastasse alcuni bambini da dietro il palco cominciarono a tirarci dei sassi: uscito di scena mi avvicinai a loro e sciorinai un campionario di parolacce in dialetto cagliaritano, solo dopo essere rientrato in scena mi accorsi che avevo il microfono acceso…
Lavori in ospedale, un luogo dove quotidianamente vedi la sofferenza dipinta sul volto della gente: come riesci a fare questo lavoro e poi la sera salire sul palco e sorridere?
Ora non ho un contatto diretto con i pazienti, dopo venticinque anni trascorsi nel reparto di neurologia adesso faccio parte dell’Ufficio Relazioni con il pubblico, ma anche quando lavoravo in corsia riuscivo a separare il mio lavoro dallo spettacolo. Per vedere chi sta peggio di noi è sufficiente accendere la televisione e guardare un telegiornale: il mondo brulica di gente che soffre, proprio per questo è importante che ci siano sempre comici pronti a strapparti una risata.
Per dare vita ai tuoi personaggi ti sei mai ispirato a persone reali?
Non esistono personaggi ispirati a una persona in particolare, direi piuttosto che è lo stereotipo di una certa fascia sociale a dare l’ispirazione per un nuovo sketch. Ad esempio i Gemelli Chessa incarnano lo spirito di una Cagliari un po’ ingenua e guascona che ormai vive solo nei racconti dei più anziani.
Un tuo pregio e un tuo difetto.
Forse sono troppo esigente quando proviamo sul palco, qualche anno fa ripetevamo le stesse scene anche tre mesi prima di portare lo spettacolo in giro per le piazze. Da un altro punto di vista però, l’eccessiva cura dei dettagli mi permette di dare sempre il massimo quando andiamo in scena.
È vero che tutti i comici sono malinconici?
Abituata a vederti interpretare personaggi divertenti in televisione, la gente si aspetta che tu la faccia ridere anche nella vita di tutti giorni, ma in realtà lontano dai riflettori non tutti riescono a comportarsi come se fossero sul palco. Sono un po’ timido, difficilmente attiro l’attenzione su di me con le battute.
Il genio uscito da una lampada ti dice di scegliere tra due desideri: preferiresti condurre il Festival di San Remo o festeggiare il secondo scudetto del Cagliari?
Il Festival dal punto di vista economico e professionale sarebbe un’ottima opportunità, ma al cuor non si comanda…
Ero un bambino nel 1970, ma ancora ricordo quel clima di gioia che si respirava in città, la gente festeggiava per le strade e per qualche giorno Cagliari è stata al centro dell’attenzione. Rivedere i Rossoblu diventare campioni d’Italia non ha prezzo.
Ti abbiamo visto nei panni dell’attore impegnato nei film Tutto Torna di Enrico Pitzianti, e in Jimmy della Collina di Enrico Pau: meglio stare davanti a una cinepresa o in piazza davanti al pubblico?
Sono due cose molto diverse, nel cinema non hai un riscontro immediato come accade in teatro, a volte ripeti una scena all’infinito aspettando che il regista dica che sia buona e reciti davanti a poche persone, ma sai che quelle stesse scene verranno viste dal grande pubblico. Esibirsi dal vivo non ti permette di sbagliare, ma è comunque stupendo perché ti consente di stabilire un contatto con gli spettatori.
Da alcuni anni ormai siete diventati per molti sardi l’appuntamento fisso del lunedì sera, quando prenderà il via la nuova stagione di “Lapola Sciò”?
La trasmissione riandrà in onda da gennaio, per adesso continuiamo a portare il nostro spettacolo in giro per la Sardegna.
Ci saranno novità?
Si, la prossima stagione sarà ricca di personaggi nuovi, tratteremo temi slegati dal calcio pur non dimenticandoci del campionato del Cagliari. Seguiteci, ci sarà da divertirsi.